La scherma a Firenze e in Toscana ha origini antiche e fin dal Rinascimento sono presenti sul territorio scuole, maestri d’arme e celebri trattatisti. A metà del ‘500, con il maestro Francesco Altoni, Firenze è uno dei punti di riferimento per l’intera Europa. Anche alla corte dei Granduchi è molto di moda la scherma, tanto che Caterina e Maria de’ Medici, quando diverrano regine di Francia, porteranno con loro numerose maestranze, influenzando così anche la scuola francese.
Ma è soprattutto dall’Ottocento che la disciplina comincia a dimostrare un’evoluzione in senso moderno. A metà del secolo danno lezione a Firenze maestri importanti come Alberto Marchionni, Cesare Enrichetti e Ferdinando Masiello. Firenze, nei primi anni dopo l’Unità, è uno dei centri più importanti per la scherma, tanto da diventare sede, nel 1888, della Corte d’Onore Permanente, chiamata a pronunciarsi sulle vertenze cavalleresche che potevano sfociare in duello d’onore fra gentiluomini (alla sciabola, alla spada o alla pistola) e presieduta dal celebre Jacopo Gelli.
Tra la fine del secolo e l’inizio del Novecento, la scherma diventa disciplina olimpica ed è uno dei pochi sport presenti alla prima edizione dei Giochi ad Atene nel 1896, quando vengono assegnate le prime tre medaglie d’oro di fioretto e sciabola.
La storia del Circolo Raggetti comincia nel 1908, addirittura un anno prima che nasca la Federazione Schermistica Italiana (poi divenuta l’attuale FIS). In quell’anno il maestro marchigiano Roberto Raggetti apre una piccola sala nel centro di Firenze, in Borgo Santi Apostoli: il Circolo Dilettanti di Scherma. Arrivato in città un ventennio prima dopo un periodo di studio schermistico a Londra, Raggetti non ha ancora quarant’anni. In breve tempo, da quel modesto circolo, verranno fuori alcuni tra i migliori fiorettisti e sciabolatori del periodo tra le due guerre mondiali.
Rodolfo Terlizzi, Giulio Rusconi e Oreste Puliti vincono un oro ad Anversa nel ‘20, Ugo Pignotti un oro ad Amsterdam nel ‘28, Giorgio Bocchino un oro a Berlino nel ‘36. Gli atleti allenati da Raggetti raccolgono insieme 15 ori, 8 argenti e 3 bronzi tra Olimpiadi, Mondiali ed Europei, oltre a cinque titoli italiani.
Nedo Nadi, il più forte schermitore di tutti i tempi, ricorda il maestro Raggetti come l’“uomo che al mare tempestoso della scherma italiana ha portato il grande fiume della sua inestinguibile passione e della sua sconfinata onestà. Gli allievi lo rispettano e lo amano. Ne ha a mucchi e tutti bene impostati, tutti sullo stesso stampo, tutti curati nei più piccoli particolari che nella scherma hanno più importanza delle astruse teorie. E Raggetti anche li ama e tiene il broncio a chi manca e si esalta con chi promette e se li vede già tutti all’apice della gloria”.
Nel 1950 Roberto Raggetti muore e il Circolo viene subito intitolato alla sua memoria. La sede si è trasferita nel frattempo prima alla Stazione, poi in Piazza Beccaria, dove ora sorge l’Archivio di Stato e dove però l’alluvione del ‘66 sommergerà sale e strutture.
Alla fine degli anni ‘60 il Circolo conosce una nuova fuoritura, e dalla sua sala usciranno altri due campioni olimpici: a Monaco, nel 1972, Antonella Ragno e Cesare Salvatori vincono altri due ori, rispettivamente nel fioretto individuale e nella sciabola a squadre.
Nel 1975 viene inaugurata la sede attuale del Circolo negli anni successivi arrivano ancora altri allori, come i quattro titoli italiani conquistati da Susanna Battazzi, Lorenzo Taddei e Gabriele Magni.
Quest’ultimo vince nel 2000 un bronzo alle olimpiadi di Sidney. Nel corso degli ultimi anni, hanno contribuito ad arricchire la bacheca fiorentina atleti come Baldi, Beccheroni, Cigna e Cioni nel femminile e Berni, Cattaneo, Lenzi, Magni, Mazzetti, Miceli, Signorini e Vannucci nel maschile.
Il medagliere del Circolo raccoglie, tra Olimpiadi, campionati e Coppe del Mondo, Europei, campionati italiani, assoluti, militari e di categoria, 90 ori, 33 argenti e 34 bronzi.
Il Circolo è stato insignito della Stella d’Oro al Merito Sportivo del CONI ed è iscritta all’UNASCI (Unione Nazionale delle Associazioni Centenarie d’Italia).Di Roberto Raggetti ha scritto Nedo Nadi, campione di scherma del passato: “Un Maestro. Maestro veramente non era Raggetti quando fondò la Sala fiorentina da cui sono usciti tanti buoni fiorettisti e sciabolatori e la intitolò modestamente “Circolo dei dilettanti”, quasi a coprire l’ardimento di vedere il suo nome a capo d’una scuola. Non ricordo quanti anni sono che Raggetti si logora in quella saletta di Borgo SS. Apostoli, ma mentre mi accingo a scriver di lui, le immagini saltan vive alla memoria e se una cosa tempo è di non saper dire degnamente d’un uomo che al mare tempestoso della scherma italiana ha portato il grande fiume della sua inestinguibile passione e della sua sconfinata onestà.

Quando il 1° gennaio 1914 mi presentai alla Caserma della Zecca come allievo ufficiale di cavalleria, la prima visita fu per Raggetti. Ero vestito come un sacco, con gli scarponi d’ordinanza e il colbacco che mi scendeva sugli occhi. Gli dissi: Roberto, son qua per un anno, dammi ospitalità». Raggetti era come sempre sulla pedana, tutto vestito di nero, con un piastrone giallognolo da cui il crino dell’imbottitura saltava fuori come se volesse sottrarsi al supplizio delle bottonate. Mi abbracciò tranquillo e mi tenne con se fino alla ritirata. Tutti i giorni, dopo il lavoro di brusca e striglia con le quali tiravo a lucido la bella saura Quaresima, scappavo in sala di scherma. Avevo le ossa rotte dal trotto senza staffe, ma tiravo con tutti e Raggetti mi guardava. Io che gli piacevo, anche se lui non me lo diceva. Finiti gli assalti il vecchio Alfonso mi porgeva l’asciugamano, ma non erano rari i giorni in cui Roberto mi tratteneva. “Stasera si sta insieme”. Quanti pranzi stupendi gli ho scroccati! O nelle classiche oste-rie fiorentine o nella casa di via del Prato ove m’erano amorevolmente preparati certi risotti che il mio stomaco ventenne beatamente assimilava, la nostra conversazione era sempre la stessa: scherma e schermidori.Per conoscere intimamente Roberto bisogna sedere a tavola con lui. Mangia poco, beve meno, ma parla per tutti. Le vivande han da essere prelibate, il vino genuino e la parola vien fuori allora calda, appassionata, severa, entusiasta e toscanissima ché della natia Ancona Raggetti s’è quasi dimenticato. Il cuore di Roberto è grande come il mondo. Far del bene, vivere in purezza di spirito, in diamantina onestà, godersi l’arte e farla godere, questo sembra il programma a cui tiene fede. Se ti parla di uno schermitore che non gli va a genio, difficilmente gli uscirà di bocca la parola amara, tutt’al più scorgerai sul suo labbro un mezzo sorrisetto ambiguo o ti sentirai apostrofare con un “vien via” che cambia discorso. Ma se ti parla dell’uomo che gli piace allora si alza in piedi e gobbo gobbo ti prende il braccio destro, te lo fa stirare, ti batte la mano sulla mano come se fosse un ferro e giù un torrente di parole, un fiotto di tecnica, un pozzo di sapere. “Ma lo sai, ma lo sai da quando non tiro più? Da quando tirai l’ultima volta con te, tant’anni fa”. La confessione di Roberto mi riempì d’orgoglio. Sapevo che soffriva di dolori ma non credevo che l’assalto non l’avesse più tentato da tanto tempo. La lezione, soltanto la lezione dalla mattina alla sera in quella sala un po’ tetra, un po’ umida, un po’ buia, ma dove Raggetti, come si direbbe d’un attore, riempie di sé tutta la scena. Ha di fronte un nuovo allievo: “Lei ha già fatto scherma? Ma dove? Ma quando? Ma con chi? O se non sa far niente, benedetto Iddio! No, così no, nella circolazione deve avanzare, passare la punta prima, poi andare a fondo. Si stenda, si stendae Vuol vedere come si fa: così”. E Raggetti sì mette in guardia, passa la punta, scocca l’affondo, ma non lo finisce, ahi! e si porta una mano alla schiena. La passione gli ha fatto dimenticare che certi lussi non sono più per le sue reni. Gli allievi lo rispettano e lo amano. Ne ha a mucchi e tutti bene impostati, tutti sullo stesso stampo, tutti curati nei più piccoli particolari che nella scherma hanno più importanza delle astruse teorie. E Raggetti anche li ama e tiene il broncio a chi manca e si esalta con chi promette e se li vede già tutti all’apice della gloria. “Quanto vuoi scommettere che quel ragazzo fra cinque anni sarà il campione d’Italia?” Ma il ragazzo magari. lo abbandona e Raggetti ne soffre. Nella sala fiorentina non c’è posto per la spada. “Sarà una bell’arma – dice Roberto – ma qui non si fa”. E nessuno si ribella. Ribellarsi a Raggetti! E chi oserebbe? Egli è il maestro sulla pedana e nella vita. Non cerca lodi, non segue gli allievi, non chiede reclame. Quando ha finito la sua pesante giornata si toglie il piastrone, si dà una grattatina alla schiena con lo spigolo di una porta e se ne va quatto quatto verso casa e l’indomani ricomincia. Finché tu insegni, la scherma italiana può tener alta la testa”.

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